La rilegatrice di storie perdute – il romanzo di Cristina Caboni

“Le donne si trovano dovunque a vivere in questa deplorevole condizione: per difendere la loro innocenza, eufemismo per ignoranza, le si tiene ben lontane dalla verità e si impone loro un carattere artificioso, prima ancora che le loro facoltà intellettive si siano fortificate. Fin dall’infanzia si insegna loro che la bellezza è lo scettro della donna e la mente quindi si modella sul corpo e si aggira nella sua gabbia dorata, contenta di adorarne la prigione. Gli uomini possono scegliere attività e occupazioni diverse che li tengono impegnati e concorrono inoltre a dare un carattere alla mente in formazione. Le donne invece costrette come sono di occuparsi di una cosa sola e a concentrarsi costantemente sulla parte più insignificante di se stesse, raramente riescono a guardare al di là di un successo di un’ora. Ma se il loro intelletto si emancipasse dalla schiavitù a cui le hanno ridotte l’orgoglio e la sensualità degli uomini, insieme al loro miope desiderio di potere immediato, simile a quello di dominio da parte dei tiranni, allora ci dovremmo sorprendere delle loro debolezze.“ 

Mary Wollstonecraft, Rivendicazione dei diritti della donna

Quando apro la porta della mia libreria di fiducia, provo, più o meno, la stessa sensazione che hanno provato i protagonisti de ‘Le cronache di Narnia’. I tre giovani si trovano, attraversando un armadio, catapultati in un modo differente, sconosciuto, magnifico e a tratti fatato.   
La mia libreria di fiducia è la mia Narnia, il mio luogo sicuro.             
Luogo dove sono sicura, a prescindere da tutto, che troverò almeno una risposta alle mille domande che albergano nella mia anima. 

L’estate scorsa ho comprato La rilegatrice di storie perdute, scritto da Cristina Caboni ed edito da Garzanti Libri. Devo essere sincera, quando l’ho comprato non ci avevo scommesso neppure un euro. Lo avevo comprato senza aspettative, come quando si va a prendere un caffè rigeneratore prima di incominciare il turno post pranzo a lavoro. Lo bevi, ma sai che non ti darà comunque la giusta carica. 
Avevo dato un’occasione a questo libro nelle settimane successive al suo acquisto, ma non avevamo legato subito, lui ed io: non ero nella posizione giusta per poterlo vedere davvero, dalla giusta angolazione, non ero abbastanza concentrata sul significato reale delle parole che trasmetteva, non avevo saputo ascoltare i consigli che cercava di darmi. 

L’estate era finita però, tutti eravamo ritornati alle nostre tranquille e frenetiche vite ed io avevo portato con me, in giro per l’Italia, questo libro senza aspettative.    
Sono passati mesi, ho attraversato le soglie di un nuovo anno con vecchie speranze e nuovi desideri, ho conosciuto persone, vissuto la mia solita vita e lavorato duramente per far si che i sogni di oggi potessero finalmente diventare realtà un domani, e non rimanere mere illusioni. Tra le mie mani si sono accomodati almeno altri 15 libri e ho avuto il cuore, l’umiltà e la voglia di volerli ascoltare tutti per davvero. Mi hanno saputa consigliare, i miei amici libri, dandomi il coraggio che mi serviva per affrontare situazioni impervie e dandomi la possibilità di raggiungere con la mente  luoghi meravigliosi. 

Con un animo diverso (e forse pronta ad accogliere ciò che aveva da offrirmi) ho dato, recentemente, una seconda possibilità a Cristina e al suo libro, sperando potesse allietarmi l’anima e la mente, visti i giorni difficoltosi che noi tutti stiamo vivendo in questo periodo.    
Sarò sincera: ha fatto molto di più. Mi ha allietata, stupita, rinvigorita e mi ha permesso di vivere il racconto sulla pelle, quasi come fossi io la protagonista del romanzo. 

Una scrittrice impavida, Cristina Caboni, capace di raccontare l’animo umano con un’eleganza, una destrezza e una delicatezza che da tempo non riconoscevo più in molti autori.          
Ha una penna molto descrittiva, peculiarità che viene esaltata amabilmente in La rilegatrice di storie perdute. Descrizioni a tutto tondo, che riescono a penetrare sia nella mente che nel cuore, permettendo al lettore di vedere con gli occhi della mente ciò che vedono i protagonisti del romanzo e di sentire con il cuore ciò che sentono gli abitanti del mondo da lei creato. 

Un viaggio che oscilla tra Roma e Vienna, tra il presente dei nostri anni e un passato datato 1800, racconti di due vite apparentemente lontane, ma incredibilmente vicine. 
La prima protagonista, Clarice, ci porge il racconto di una vita vissuta nel dolore, nelle speranze perdute e nel coraggio sempre condannato. Una bambina, una ragazza e una donna, un’orfana e una nobile, una fragile bellezza e un’amazzone combattiva ed impavida. Era tutto questo e molto altro, Clarice.    
Il suo personaggio è la personificazione di una femminilità che viene derisa, strumentalizzata, maltrattata e depersonalizzata quasi. Ma che, nonostante tutto, trova sempre il modo di non perdere mai la sua autentica essenza e combattere per la libertà.           
Figlia del suo tempo, durante il racconto dinamico magistralmente diretto dalla Caboni, Clarice ci fa vivere assieme a lei una storia, la sua storia, fatta di rivendicazione, di desiderio di libertà, di amore, di passione, di struggente sofferenza e martirio. Ci permette di vivere con lei, attraverso lei, il racconto di una vita che sembra molto lontano nel tempo e nello spazio. 

Ma forse Einstein aveva ragione, forse davvero il tempo è soltanto una tenace illusione. 

Perché Clarice potrà anche appartenere al passato, ma Sofia, intellettuale donna romana che a neppure 30 anni si sente già vinta dalla vita, è l’altra faccia della medaglia. La compagna contemporanea di Clarice, che nella moderna Roma intellettuale degli anni 2000 vive gli affanni della vita, la solitudine, il dolore generato dalla sconfitta, il senso di inadeguatezza tipico di chi sta ricominciando tutto da capo, la frizzante allegria derivata delle nuove scoperte, i fremiti irrefrenabili figli delle pulsioni primordiali, l’amore. 

Due donne diverse, ma che raccontano la medesima storia.    
Due donne coraggiose, che attraverso soprusi e ingiustizie, riescono a non darsi mai per vinte e a riscoprire in continuazione il vero gusto della libertà. 
Due donne, insicure e fragili, che nonostante la paura decidono di lottare non solo per loro stesse, ma anche per rivendicare l’idea stessa della donna. Così in evoluzione, questa idea, in un mondo maschilista e in una società patriarcale che continua a non riconoscere – esattamente come in passato – il valore, la dignità e la libertà che dovrebbero di diritto spettare ad ogni donna.

Due donne, Clarice e Sofia, accomunate da una grande passione: i libri. Perché sì, i libri e la letteratura, in questo romanzo prendono vita quasi fossero un vero e proprio personaggio. In questo romanzo i libri parlano, raccontano, disegnano percorsi di vita, illustrano possibilità, ingannano e sussurrano parole di conforto. 

Queste due donne mi hanno ricordato che non c’è nulla di bello nel limitarsi per compiacere qualcuno. Mi hanno insegnato che non si deve mai chiedere qualcosa se poi non si ha la forza di affrontare la risposta e mi hanno aiutato a dare un senso a ciò che mi ha sempre legato ai libri: ‘A Sofia era sempre piaciuta l’idea che i libri fossero degli spazi. In realtà lei pensava che somigliassero anche agli specchi che la nonna Therese collezionava. Perché se riuscivi a ritrovarti all’interno delle pagine, a comprenderle intimamente, a immedesimarti, e dunque a rifletterti in esse come in uno specchio, alla fine dipendeva anche da te’.

In questi giorni difficili, datevi la possibilità di guardarvi dentro e scoprire qualcosa di nuovo.        
Vi consiglio di farlo con l’aiuto di Clarice e Sofia, due donne che, assieme ai loro libri, hanno cambiato le loro vite e chissà, potrebbero essere d’ispirazione per qualche piccolo cambiamento anche nelle vostre. 

Un abbraccio a distanza,

-Ross.