The 100 06×03 Recensione -The children of Gabriel

Bentrovata SeriesKru! Dopo una settimana di pausa dalle recensioni per via di impegni personali, sono tornata a discutere con voi di The children of Gabriel terzo appuntamento di questa sesta stagione di The 100. Ammetto un po’ di tristezza nel non aver commentato con voi lo scorso episodio in quanto l’ho trovato molto interessante. Fortunatamente The children of Gabriel si è rivelato possedere meno colpi di scena, ma essere decisamente farcito di informazioni che potrebbero avermi fatto pensare a svariate teorie su come potrà svolgersi il resto della stagione. Dovremmo cominciare a parlarne? Direi di sì.

Questo episodio mi ha dato delle serissime Mount Weather/Grounders vibes. Sarà per lo sfarzo, sarà per la presenza di persone misteriose nascoste nella foresta, ma è chiaro che si stia reinterpretando lo schema visto in precedenza. In questo episodio veniamo a contatto diretto con gli abitanti di Sanctum e con la loro quotidianità, le loro consuetudini e con il loro inquietantissimo modo di onorare i nomi dei fondatori della società attraverso un verso che fa tanto The Handmaid’s Tale: hallowed be her name. Il popolo sembra vivere nella pace, con esistenze semplici e riti basilari, ma obbligatori: vediamo come interrompono le attività per il momento di tai chi giornaliero, oppure li vediamo organizzare il raccolto con una grande ed organizzata festa. In questo contesto impariamo a conoscere meglio i leader di Sanctum, i cosiddetti Primes, diretti discendenti dalle famiglie fondatrici atterrate sulla luna anni or sono e, in particolar modo, facciamo conoscenza con Russel Lightbourne e la moglie Simone.

L’uomo è la raffigurazione quasi spaventosa della calma ragionata e davanti a lui io sento come se avesse mille anni. C’è qualcosa nel modo in cui si muove e parla che lo trasporta fuori dal tempo, come se avesse vissuto mille vite prima. Non vi sto dicendo queste cose a caso: all’interno della mia testa si sta formando una teoria di trasmissione delle coscienze come già abbiamo visto con il Chip, ALIE e i Commanders. Potrei sentirmi avvalorata grazie alla storyline di Delilah: la ragazza, che conosciamo grazie all’attrazione che prova subito per Jordan, ammette subito di essere in attesa di diventare parte dell’élite regale di Sanctum e di aspettare di prendere il nome di Priya la Settima. Ora, questa cosa ancora non ci è stata spiegata, ma io già la vedo sacrificata come un agnello sull’altare, aperta come un tacchino a Natale e farcita con la coscienza di questa Priya, sotto forma di chip. Teoria tra l’altro che potrebbe essere confermata in quanto Delilah è una nightblood e pertanto il suo è uno dei pochi corpi in grado di poter accogliere l’AI come già ci hanno ben insegnato. E non è per niente sorprendente che Russell stesso sia un nightblood e che la scoperta di Clarke come tale abbiamo aperto ai nostri Cento la possibilità di permanere sicuri sotto la cupola di Sanctum. Sono ormai convinta che Russell voglia impiantare in Clarke la coscienza della figlia scomparsa sei anni prima, come se poi la figlia fosse davvero la sua e non la Josephine Ada che abbiamo visto lo scorso episodio e che casualmente condivide con Russell il cognome.

Ecco quindi quello che penso: Clarke è in pericolo. Che novità. In questa ottica quindi lei e Madi potrebbero essere prese di mira come potenziali contenitori di coscienze che al momento sono stivate da qualche parte, impossibilitate ad essere impiantate nei corpi perché magari non disponibili o non ancora abbastanza maturi (vedi Rose). Al momento, quindi, è tempo per Priya di risorgere, mentre la sorpresa di Clarke come corpo maturo e forte ha acceso la speranza che anche Josephine possa tornare a vivere nel suo corpo.

E questo mi riporta alla mente The Host di Stephenie Meyer nei lontani tempi in cui Twilight mi piaceva proprio tanto.

A proposito di Josephine! Ricordate il bel sosia di Shawn Mendes che abbiamo visto nello scorso episodio? Ricordate il nome? Esatto, proprio Gabriel, nome vengono chiamati i suoi “figli” nella foresta. Ora, è tempo di un’altra teoria. Vi ricordate che il padre di Josie le chiese di “lasciare un po’ di spazio al dr. Santiago” perché “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di un genetista con il cuore spezzato” prima di impazzire per gli effetti dell’eclissi e piantare un’accetta nella gola della figlia? Sto pensando che Gabriel potrebbe benissimo aver preso le distanze dal leader della spedizione Lightbourne e aver deciso di salvare in qualche modo gli embrioni rimasti per popolare Sanctum, portandoli lontani dalle mani accecate dal dolore del capo della spedizione. Questo penso, in realtà, possa essere successo in un secondo momento, una volta capito il piano di mr Lightbourne di “non morire mai” e farsi tramandare religiosamente da un corpo al successivo. Questo potrebbe ribaltare le carte in tavola: all’apparenza, al momento, i Primes sono i buoni, magnanimi reali di una società bellissima e pacificissima, mentre i figli di Gabriel sono i sanguinari esseri pericolosi che abitano la foresta e dai quali bisogna difendersi perché come unico scopo hanno di far fuori i Primes. Primes che a loro volta non vogliono morire, quindi hanno creato un cinema assurdo su Gabriel, su quanto sia pericoloso, un demone di qualche sorta, così da creare attorno a lui un’aurea di terrore ed estenderla anche ai suoi proseliti. La missione di Gabriel a me sembra pure legittima visto che questi Primes non fanno altro che porre fine alle vite delle persone per poter continuare la loro e quindi il loro isolamento all’interno della cupola ora lo vedo come un modo per continuare questo loro piano di conservazione, relegando nella foresta questi redblood che come missione potrebbero solo avere di liberare il popolo abitante di Alpha da questa assurda pratica. Da una parte quindi abbiamo il death is not the end dei Prime che veramente non muoiono mai e dall’altra il life is death di quei figli di Gabriel che vogliono riportare il corso naturale della vita per *tutti* gli abitanti di Sanctum, anche quelli con sangue nero.

Ultima considerazione riguardo a Gabriel: io punto tutto sul fatto che sia un uomo vecchissimo (anche perché i figli di Gabriel di questo episodio parlano di un old men) e la cosa potrebbe perfettamente andare in contrasto con la giovinezza di Russell che invece continua a farsi tramandare di uomo in uomo.

Un’altra cosa che ho notato è che nella numerologia di The 100 il numero 13 è decisamente una costante ed un pilastro fondamentale sul quale sviluppare le stagioni: in principio furono 12 stazioni spaziali, per poi scoprire l’esistenza di una 13esima andata perduta e ritrovata solo successivamente, poi 12 furono i clan terrestri, ai quali si aggiunge un 13esimo clan appartenente allo spazio e apparentemente non desiderato, infine ci troviamo con 12 membri fondatori divisi in quattro famiglie, ma abbiamo anche la presenza di un 13esimo personaggio, nei panni del genetista Santiago, di cui ancora non sappiamo se abbia sangue nero, ma che al momento sembra essere la figura antagonista di questa stagione.

E’ sempre molto interessante e veramente appagante quando una serie tv riesce a far lavorare così tanto il cervello alla scoperta della propria mitologia e posso dire che finalmente mi trovo a scrivere una recensione felice di poterlo fare e non con la matita della guerra in mano.

Ci sono altre mille cose che vorrei dire, ma i tempi non sono maturi ancora. Pertanto vi aspetto la prossima settimana piena zeppa di buone speranze.

Se la recensione vi ha fatto esplodere la testa fatemelo sapere qui sotto nei commenti, su Facebook o Twitter, io non vedo l’ora. Inoltre vi ricordo di passare da DeCento per farvi due risate quando in realtà non ci sarebbe niente da ridere e da Night Sky Events Italia per le notizie dalla ConClave4!

May we meet again,

G.

#The100