The Queen’s Gambit è bellissima, ma ha un problema

Nel panorama delle recenti novità presentate da Netflix troviamo The Queen’s Gambit, una miniserie drammatica creata da Scott Frank e Allan Scott, rilasciata lo scorso fine ottobre e basata sull’omonimo libro di Walter Tevis, pubblicato nel 1983. La serie tv racconta la vita di Beth Harmon, bambina prodigio del gioco degli scacchi e prima donna a diventare campionessa del mondo. La serie, che spazia dall’infanzia della protagonista fino ai 22 anni, è composta da 7 episodi di durata variabile dai 46 ai 67 minuti.

The Queen’s Gambit è una bella storia di sport, di intelletto, è una storia di grande riscatto, una storia di successo e di emancipazione, una storia che vi farà sembrare gli scacchi meno alieni da una parte, ma è anche una storia di ossessione, dipendenza, solitudine e auto distruzione. Nei pochi anni che portano Beth Harmon da essere una bambina orfana a diventare una grandmaster c’è tutto questo.

Ho apprezzato moltissimo le scelte stilistiche prese dai registi, ho apprezzato moltissimo l’attenzione per i particolari, per la fotografia, i costumi, le musiche, tutto capace di creare un universo accogliente e coinvolgente nel quale seguire con passione questa ragazza nella sua ascesa nel successo, ma non ho potuto non notare un problema e oggi sono qui per parlarvene.

Il problema, che mi ha profondamente amareggiata e contribuisce a farmi ridimensionare parecchio questa serie tv, risiede nel personaggio di Jolene e nel suo utilizzo. Jolene, ragazza di colore già presente in orfanotrofio all’arrivo di Beth, è l’unica amica che Beth sembra avere lungo tutta la sua vita, colei con la quale condivide gli anni peggiori e colei che lascia indietro una volta adottata, è un personaggio interessante e capace di bucare lo schermo fin dalla sua prima comparsa. Complice la grande insolenza nei confronti dell’autorità educatrice in orfanotrofio, Jolene si fa notare subito come una ragazza che non si farà mettere nell’angolo facilmente. Eppure quella grande animosità e quella forza di vivere viene presto accantonate e dimenticata. Beth viene adottata e Jolene sparisce dagli schermi. Lo spettatore continua ad osservare le avventure di Beth e si dimentica di Jolene, una meteora nell’infanzia della protagonista. Tutto molto vero, se non fosse che Jolene ritorna, a pochi episodi dalla fine, nel momento in cui Beth si trova sul baratro, stordita dall’alcol e dai tranquillanti che non la abbandonano da tutta la vita. Jolene ritorna come una ragazza nuova, piena di sogni, speranze e successi e ritrova la sua amica di infanzia nelle condizioni peggiori che si possano immaginare, la prende per mano e la aiuta a rialzarsi, a ripulirsi, a fare pace con il passato, con la morte della madre, l’abbandono del padre e la fine dei rapporti con la famiglia adottiva. Jolene fa tutto questo e anche di più perché presta a Beth i soldi che le servono per volare in Russia e per vincere la battaglia più importante della vita e ancora una volta, come è comparsa, Jolene scompare, si eclissa dopo aver elevato la sua amica in difficoltà. Perché tutto questo è triste e amareggiante? Perché tutta la dinamica dell’esistenza di Jolene esiste in funzione del suo essere un elemento salvifico per Beth. Jolene non ha alle spalle una storia dignitosamente trattata, il suo presente non viene sufficientemente indagato, non ha la possibilità di essere caratterizzata come “altro” rispetto a Beth e una volta fatto il suo dovere, la sua utilità è terminata e così la sua presenza nella serie. Questo utilizzo di un personaggio di colore come elemento salvifico per una controparte bianca fa cadere questa storia in un trope classico della televisione, un cliché, uno stereotipo negativo. E da una storia così ben caratterizzata e attenta non è qualcosa che riesco a perdonare molto facilmente.

In una storia in cui si ha l’ardire di far dire a Jolene “I was all you had. And for a time you was all i had. We weren’t orphans, not as long as we had each other” sembra incredibilmente insensata la mancanza di caratterizzazione della ragazza e la sua assenza lungo tutta la serie di episodi.

Potrà sembrare un particolare insignificante di fronte a 7 solidi episodi, eppure credetemi, di fronte a certe affermazioni, di fronte a certe pesanti dichiarazioni con il cuore in mano, ascoltarle e riconoscerle come legittime è stato estremamente strano e alienante.

Alla luce di questo spero di avervi portato un nuovo punto di vista nella valutazione di questa serie tv, che rimane comunque una serie tv ben raccontata, ma non la posiziona probabilmente nell’olimpo delle serie che lasciano un segno.

Vi abbraccio a distanza!

G.