Westworld 01×02 Recensione

Bentrovati appassionati di Westworld! Vi scrivo dal mio pc, che per chi ancora non sapesse, è sopravvissuto ad una inondazione di the caldo e funziona ancora, anche se battere a tastiera si sta rivelando un po’ appiccicoso. Oggi parliamo di Chestnut, il secondo episodio di Westworld, la nuova serie targata HBO. Tra nuovi arrivi al parco e nuovi punti di vista, l’episodio si rivela buono e decisamente coinvolgente.

La spettacolarità di queste serie è che si srotola piano piano in maniera sicura, accompagnandoci in un percorso di comprensione che potrebbe portarci a pensare qualsiasi cosa del futuro di questa serie, dato che al momento brancoliamo ancora nel buio, stiamo ancora imparando a gestire la stranezza delle interazioni e delle azioni, ancora poco avvezzi a capire cosa succede e come quello che succede si ritorcerà contro i personaggi. Su Westworld si possono fare miriadi di teorie e tutte potrebbero sembrare plausibili perché ancora le nostre credenze e convinzioni sono in mano agli autori, che episodio dopo episodio ci porteranno a capire i grande quadro della Storia.

Una teoria che mi piace molto e che penso possa rivelarsi fondata è quella che sostiene che Westworld stia portando avanti due linee narrative. Vi spiego, avete presente che nel pilot si accennava ad un grande disastro nel parco? La teoria che vi propongo sembra legittimare che gli autori ci stiano mostrando il prima e il dopo incidente, mescolandoli insieme sapientemente per creare una narrazione che solo alla fine unirà le storyline con continuità.

In questo episodio ci distacchiamo dal punto di vista di Dolores e veniamo lanciati a vivere l’esperienza del parco attraverso gli occhi di due personaggi molto diversi: un visitatore, William, un personaggio che al momento si rivela molto positivo, e un’ospite del parco, Maeve, una delle prostitute del bordello.

William, il visitatore buono, arriva a Westworld insicuro e sospettoso, quasi incapace di buttarsi completamente nella libertà senza vincoli offerta dal parco, incapace di distaccare completamente il suo essere empatico nei confronti degli androidi, così simili a lui da disturbarlo e spaesarlo. William è l’unico che sembra essere maturo abbastanza da fermarsi davanti alle macchine e domandarsi della legittimità delle azioni che può compiere. Può comportarsi in maniera barbara e completamente istintiva solo perché si tratta di un gioco? Può ammazzare, mutilare, violentare i personaggi del parco solo perché non sono reali? Di fronte alla loro perfezione, al loro sembrare veri, può buttare all’aria ogni rispetto per l’uomo solo perché in realtà quelle macchine non sono uomini?

Se non vedi la differenza, ha importanza?

William viene accompagnato all’interno del gioco da un’androide che lo guida a scegliere per, sé stesso, un personaggio da interpretare all’interno di Westworld. Come in ogni videogioco che si rispetti, l’uomo viene guidato nella creazione di un avatar, come se grazie a questo percorso di allontanamento dalla propria personalità, i visitatori si possano sentire più leggeri nell’imbracciare la furiosa libertà a loro disposizione.

Cappello bianco o cappello nero? E’ nella scelta del colore del capello che pare ci sia la grande frattura tra personaggi positivi e personaggi negativi. Si veda solo Logan, il collega di William, che per sé sceglie il cappello nero e che all’interno del parco si comporta esattamente come se di fronte a lui non ci fossero che cose a sua completa disposizione. Non è la scelta che fa per sé William, che indossa il cappello bianco e si muove a Westworld in maniera innocua e altruistica, attento a non ingaggiarsi in risse o premuroso nei confronti dei personaggi più sfortunati del parco. Importante la sua interazione con Dolores, perché è un indizio che si aggiunge a validare la teoria che vi propongo.

Al quartier generale di Westworld, intanto, si cercano idee per arricchire le proposte narrative del parco e vediamo la creazione di un gruppo di personaggi eterogenei, con un focus particolare sugli indigeni.

Gli stessi indigeni che troviamo insistentemente nel incubi di Maeve, il nostro secondo POV dell’episodio. Che Maeve attraverso il racconto dei suoi sogni ci stia in realtà spiegando come è avvenuta la distruzione del parco trenta anni prima? Se i suoi sogni fossero ricordi, posizioneremmo la storia della meretrice al centro della linea temporale che va dall’arrivo di William buono a Westworld fino al presente?

Il presente, secondo la teoria che vi propongo, inizia con l’arrivo del Cavaliere Nero a Westworld. L’uomo che sta facendo strage di ospiti, che ha quell’incontro disturbante con Dolores, che ricerca febbrilmente il Labirinto. Se fosse William? William che ha atteso trent’anni per tornare nel gioco, che ha accumulato rancore e rabbia, che probabilmente ha perso qualcosa di importante nel disastro di Westworld e ora è tornato a cercare vendetta? Oppure che ha lasciato la sua umanità nel parco e che cerca il Labirinto per non dover far ritorno alla realtà mai più.

Altre considerazioni molto interessanti. Cosa accadrebbe se, in realtà, i collaboratori di Ford fossero anch’essi automi? Mi riferisco particolarmente a Bernard. L’uomo è ha un comportamento inusuale, sempre freddo e imperturbabile, macchinoso nei suoi rapporti con gli altri. Mi viene in mente il suo discorso con la collega, Theresa. Ford sembra affascinato dalla naturalezza dei suoi movimenti, delle sue espressioni e chiede di poterle registrare. Ma che vuol dire? Li registra per sé perché in realtà è un automa (decisamente ben riuscito) e arricchisce così il proprio database, o li registra per poterli inserire negli automi che crea lui perché in realtà è solo un uomo? Bernard potrebbe essere l’automa meglio riuscito di Ford, un automa che ha nel cuore del suo creatore una posizione di affetto particolare, tanto da essere diventato il prediletto, il suo secondo. E se tutti gli automi del parco fossero in qualche modo legati a Ford da affetto perché rappresentano persone da lui amate e conosciute durante la vita? Se le avesse create ad immagine e somiglianza loro così da non poterle perdere? 

Avete pensato anche voi che la frase di Shakespeare, these violent delights have violent ends, sia l’origine dei bug che scombinano i codici degli automi? Che l’insinuazione che i problemi del padre di Dolores potessero essere contagiosi in realtà sia la verità dei fatti e ogni automa che sentirà quella precisa composizione di parole sentirà sbloccarsi dentro di sé un qualche codice fantasma e si ribellerà?

Una menzione particolare al bambino che Ford incontra nel deserto di Westworld. E’ casuale che i padri dei due personaggi dicessero la stessa cosa? E’ casuale che Ford si confidi con quel piccolo automa? E se l’uomo avesse deciso di inserire sé stesso nel gioco e avesse creato quel bambino per trasferire la propria coscienza in Westworld?

Capisco che questa recensione sia più un quesito che una risposta, spero di non avervi perso nei miei vaneggiamenti,

alla prossima,

G.

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